Lo sviluppo delle megalopoli del Mediterraneo tra Europa, Medio-Oriente e Nord-Africa
Roma, 13 dicembre 2010, Sala delle Bandiere dell’Ufficio per l’Italia del Parlamento Europeo
Nel convegno organizzato dai Radicali Italiani presso la sede italiana del Parlamento Europeo sono stato invitato a presentare la mia esperienza di “utilizzo” dei beni culturali come strumento di lavoro sociale su periferie simili come quella di Napoli e quella di Valenzia, in Spagna.
QUI c’è il programma del convegno.
Il convegno, trasmesso da Radio Radicale, è riascoltabile integralmente
o suddiviso nei singoli interventi da questo SITO
La sintesi dell’intervento è qui di seguito
Marginalità urbane emancipate con la cultura: un ‘sano’ uso del patrimonio
CHI. Fulvio Mesolella. Formato come psipedagogista laureato in filosofia, poi storico dell’arte, con
anni d’insegnamento nella scuola pubblica e varie abilitazioni conseguite. Impegnato dal 1985
nella proposta di utilizzo del patrimonio culturale per lavoro sociale, rivolto alla partecipazione
civile ed al protagonismo, ma anche all’emancipazione personale degli utenti di servizi pubblici
ed educativi mediante un concreto aiuto nei percorsi formativi e, più in generale, tramite questi
ultimi, al consolidamento dell’autostima e del benessere dei soggetti menzionati.
COSA. Si è trattato di un lavoro dapprima volontario e poi da libero professionista, iniziato con
bambini e adolescenti presso le scuole e centri per minori a rischio, utenti di salute mentale e
tossicodipendenti tramite consulenza con le aziende sanitarie napoletane, con immigrati tramite
gli sportelli provinciali dedicati, con disabili in accordo con le loro associazioni (in particolare
soprattutto di non vedenti ed ipovedenti), con le università per la terza età. È poi approdato
all’organizzazione ed al coordinamento di una rete di formazione e collegamento locale,
nazionale ed europea, al servizio degli operatori sociali, sanitari e culturali, attività svolta in
consulenza come ideatore e coordinatore dell’Ufficio di Supporto al Centro per il Disagio
Giovanile del Comune di Napoli.
COME. Ai destinatari di interventi sociali si sono offerte attività laboratoriali basate sull’uso del
patrimonio culturale e la presentazione di esso mediante procedure di “adozione”, promuovendo
un senso d’identità collettiva in grado d’incoraggiare anche i processi d’individuazione,
sviluppando cooperazione e cura di sé mediante protagonismo civile; mentre agli insegnanti ed
operatori culturali, sociali e sanitari, si è offerta una formazione ed un “affiancamento” rivolte a
migliorare le motivazioni ed il senso di continuità ed efficacia.
PERCHÈ. Un lavoro dunque proiettato prevalentemente verso le fasce marginali del disagio, oggi
sempre più massicce, in grado di determinare il panorama urbano e segnare il livello di qualità di
vita delle nostre città. I bambini sono figli di tutti, gli anziani e disabili sono pressoché in ogni
famiglia, com’è risaputo gli immigrati sono la causa di ogni male (e non le persone che si
rimboccano le maniche per risolverceli, aiutando concretamente la nostra economia e perfino le
nostre vite familiari), l’instabilità psichica ed il ricorso a dipendenze di ogni tipo dilagano
prepotentemente e segnano la realtà del lavoro, della vita della strada, dei trasporti, e quindi il
“problema” di vari tipi di servizi pubblici, inclusa la pubblica sicurezza.
DI CHE AREE PARLIAMO
Napoli, a confronto con Valenzia: luoghi d’intervento con storia e tempi
Napoli
Si parte, poco dopo il terremoto del 1980, dai quartieri della città storica, poi, con la costruzione
di Scampia-Secondigliano si coinvolgeranno anche le periferie e i centri minori del casertano
(Casal di Principe, San Marcellino ecc.), spinti alla fusione dal cemento selvaggio, l’annullamento
di spazi verdi o di rispetto fra comuni limitrofi, e soprattutto umiliando la naturale vocazione
agroalimentare del territorio. La crescita caotica della megalopoli fra golfo ed entroterra
casertano ha creato in questo modo una conurbazione su cui gravitano quasi 5 milioni di persone.
La risorsa del territorio del centro storico napoletano: l’enorme patrimonio ecclesiastico (500
chiese e 80 conventi circa, contro le 350 chiese e 20 monasteri di Roma), negli ultimi anni una
grande quantità di beni archeologici e museali finalmente aperti al pubblico, un’organizzazione
turistica ricettiva di grandi potenzialità e ancora di scarse risorse o competenze qualificate.
La controindicazione dello sviluppo in atto è nel fatto che i luoghi hanno visto calpestare tutte le
vocazioni antiche: la gestione del ciclo dei rifiuti da parte della camorra e l’inquinamento
ambientale e politico vanifica sistematicamente gli sforzi di rivalutazione dei prodotti alimentari
come di quelli turistici, e nel naufragio dello Stato come pianificatore trionfa il malaffare e la
criminalità che realizza al sud ed investe al nord ed all’estero.
Valenzia
La similitudine, oltre che negli eventi storici che affratellano le città, è nella vocazione produttiva
agroalimentare che questa regione ha assolto, prestandosi ad essere economicamente spina
dorsale della Spagna per due secoli, ma anche qui si registra una trasformazione violenta delle
campagne dovuta all’arrivo di ingenti capitali, di cui molti sospetti mafiosi, che hanno alterato la
produzione e orientato decisamente verso le proposte di uso del territorio per villaggi e città-
vacanze e parchi tematici per il tempo libero. Si è assistito in questo modo alla creazione di
luoghi adatti ad eventi spettacolari (motodromi, trasformazioni portuali per la Coppa America,
circuiti urbani di formula uno), con una modesta valorizzazione dei beni culturali, ma anche un
generale peggioramento delle condizioni di presenza sociale a favore delle fasce di rischio.
Il parallelo dunque è fra due città che hanno una storia simile, perfino fondatori in comune, ma
un concreto sviluppo che vede ancora in trasformazione grandi aree urbane.
A Napoli, con l’area industriale di Bagnoli, si assiste alla più grande ristrutturazione cittadina che
si stia verificando in una zona d’Europa; a Valenzia si fa qualcosa di simile nelle aree portuali di
espansione della città storica verso borghi minori: la scelta, nell’ultimo caso, è consistita nel far
crescere la città intorno a grandi eventi, come nel resto d’Europa e di Spagna (Barcellona con i
giovani, Saragozza con l’acqua, Siviglia con l’expo). In Spagna, quindi, si assiste a sviluppi urbani
pianificati, ma comunque fatti mediante forzature del territorio, opere pubbliche straordinarie e
realizzate con efficienza, a fronte di gravi problemi di manutenzione e sorveglianza, che hanno
portato anche al gravissimo incidente della metropolitana con 44 morti, che precedette di pochi
giorni la prima visita di papa Ratzinger, nel luglio del 2006. Risultato è stato anche qui il
trasferimento programmato di residenti dei quartieri popolari, vicini al mare, verso una periferia
extraurbana, la creazione di un’edilizia civile rispettabile, vanificata dalla sottrazione di diritti
prioritari ed elementari: case decenti, ma senz’acqua e luce, a causa delle privatizzazioni.
CONFRONTI
Problema centrale delle marginalità: la condizione dei minori
In entrambi i casi gli interventi proposti sono stati concretamente rivolti verso una marginalità
che progredisce in maniera esponenziale: se la scarsa qualità della vita si trasforma sempre più in
problemi di salute mentale, tossicodipendenze e perfino in disabilità, la condizione più
preoccupante diventa quella dei minori, perché prepara un mondo decisamente peggiore,
violento, privo di senso e del tutto reattivo ad ogni possibile orientamento e contenimento.
Vengono fuori sempre più ragazzi “ingestibili” ma manipolabili, purtroppo orientati in questo
modo solo verso il peggio: completamente manovrati dalla multimedialità e dalla televisione,
appiattiti nei gusti e consumi alimentari, sessuali, sportivi ed emotivi, essi cercano emozioni nel
pericolo e nella trasgressione, si abituano alla violenza e all’esposizione prematura ad ogni tipo
di promesse di paradisi artificiali, quando non vanno subito a contatto con alcool e droghe.
E gli adulti… un mondo in degrado
Del resto, anche dopo anni di esperienze, affiancamento e formazione, si è verificato che perfino
negli interventi patrocinati dal Comune di Napoli, si è trovata impreparazione, scarsità di risorse
ma soprattutto di volontà: mentre nella realtà spagnola c’era varietà di proposte, ed anche forte
motivazione a partecipare, anche a proprie spese, da parte degli operatori. La solitudine degli
operatori corre al galoppo, la caduta di motivazione in Spagna risulta arginata almeno dagli
interventi formativi e auto-formativi massicci, da noi è affossata dal malcostume politico e
morale che burocratizza tutto, dallo smontaggio del sistema formativo pubblico e, perfino in
questo campo, la totale delega a gruppi di affari, dal totale abbandono e voluto isolamento e
precarizzazione del lavoro degli operatori, che perdono motivazione e direzione di condotta.
Il malessere sociale è termometro di uno sviluppo possibile, ed in questo senso, statistiche o no,
un forte indicatore sociale è il grado di fiducia e di progettualità di chi opera con il disagio:
sottovalutare questa forza o sprecarla equivale a chiudere le uscite d’emergenza di un luogo
affollato, significa programmare una possibile ecatombe. E gli interventi spontanei, descritti
sopra, che continuano a dare risultati confortanti in città che hanno storia, rischiano ora di fallire.
Si può evitare tutto questo? O è nella spinta alla megalopoli che è insito questo peggioramento
delle condizioni di vita? E come intervenire in un’ottica metropolitana nei confronti di questi
fenomeni, prima che minaccino la sicurezza e la vivibilità di queste aree, e ormai della
sopravvivenza umana sul pianeta? Pare si stia volutamente procedendo verso una società
anestetizzata, dipendente e programmabile nei bisogni… chi governa i processi?
Lasceremo che sia la televisione, la politica, le multinazionali o, peggio, il malaffare?