L’educazione alla legalità è anche educazione alla legalità internazionale.
I governi pavidi non conoscono più la diplomazia, parlano di riarmo e diventano militaristi per lucrare sulle armi.
E si arrendono ai genocidi perché sono complici.
Insegniamo ai nuovi cittadini a usare la democrazia praticandola con l’esempio e insieme a loro.
Due anni fa ci fu l’uccisione di più di 1200 persone riunite in festa in Israele in un rave, un tipo di concerto che sono soprattutto le destre mondiali a boicottare e combattere apertamente: basti pensare che il primo decreto praticamente inutile del governo Meloni, appena insediato, fu proprio dedicato al contrasto di questi incontri nono autorizzati. Ma per fortuna a questo fatto efferato seguì informazione, posizioni di solidarietà espresse da tutti gli Stati del mondo, la sensazione che Hamas non rappresentasse altro che violenza cieca, e non certo un popolo che reclama giustizia. Lì almeno non ci sentimmo soli.
In questi giorni di ottobre, ma già da un paio d’anni a questa parte, mi è stato difficile esprimere cosa sia stato assistere nell’impotenza e nel silenzio al dolore di un intero popolo di innocenti fatto oggetto di stragi insieme alle persone che hanno portato aiuti fino ad oggi: oltre 1600 fra medici e sanitari, volontari e operatori delle Nazioni Unite, oltre 200 fra giornalisti fatti oggetto di omicidi mirati, assistere da parte di un paese “alleate e amico” come Israele di una pratica non casuale della tecnica double-tap, quella di effettuare due bombardamenti successivi in modo da colpire non solo gli obiettivi ma anche i soccorritori e chi documentava quello che stava succedendo.
A questo si è aggiunto un moto di persone provenienti da diversi paesi del mondo che hanno raccolto aiuti umanitari, soprattutto sotto forma di cibo e acqua, e poi anche medici con farmaci e attrezzature ospedaliere d’emergenza, nelle varie partenze della Sumud Flotilla, flotta che sostiene il radicamento di un popolo nei propri luoghi, il diritto a sopravvivere.
Di fronte agli insulti e alle bassezze, al sequestro di questi volontari e al delirio dei governi europei, fra cui ci onoriamo di primeggiare come italiani, ecco, rispetto a questo, anche chi insegna in provincia, come me, ha sentito in grande solitudine l’esigenza di rappresentare il disappunto con lo sciopero, ma anche quella di confrontarci con allievi e colleghi su quanto la nostra stampa e i nostri governi manipolano tendenziosamente.
Non si educa solo con le parole, rispetto al genocidio in corso si educa con l’esempio e con l’invito alla partecipazione democratica, alla nonviolenza e all’informazione, anche in solitudine. E abbiamo anche scoperto di non essere del tutto soli. La coscienza può solo crescere ed allargarsi, come i sorrisi e il sostegno dei lavoratori del porto di Salerno, in questi giorni.
E i ragazzi non sono indifferenti e rassegnati a tutte queste morti e nemmeno a un’informazione tendenziosa e falsa, a governi che eludono strumentalmente i loro compiti e insultano chi si risveglia dal torpore o dall’impotenza.
Tutto questo guarda non solo alla nostra Costituzione, che ripudia la guerra, ma è l’unico modo di guardare al futuro dei nostri ragazzi, un futuro che qualsiasi educatore dovrebbe avere il coraggio di gridare che non può essere di conflitti, di genocidi e nemmeno di riarmi strumentali all’industria bellica.
Credo fermamente che questa è l’unica maniera in cui i nostri ragazzi e l’umanità intera potranno avere un futuro, e sono convinto che questa speranza, questa testimonianza e questa militanza sarà utile e darà frutti.
Come si accendono e alimentano conflitti in maniera colpevole e criminale, così anche le speranze possono accendersi e divampare mostrando chi è che sta facendo di tutto per riportare l’umanità a un secolo fa, sapendo già, stavolta, dove ci porterebbero a sbattere.